[...] E come io non dico altro, lui di nuovo: «O Mario,
com’è triste essere ostili, dirti che rifiutiamo la salvezza,
né mangiamo del cibo che ci porgi, dirti che ci offende».
Lascio placarsi a poco a poco il suo respiro mozzato dall’affanno
mentre i passi dei compagni si spengono
e solo l’acqua della gora fruscia di quando in quando.
«È triste, ma è il nostro destino: convivere in uno stesso tempo e luogo
e farci guerra per amore. Intendo la tua angoscia,
ma sono io che pago tutto il debito. E ho accettato questa sorte».
E lui, ora smarrito ed indignato: «Tu? tu solamente?»
Ma poi desiste dallo sfogo, mi stringe la mano con le sue convulse
e agita il capo: «O Mario, ma è terribile, è terribile tu non sia dei nostri».
E piange, e anche io piangerei
se non fosse che devo mostrarmi uomo a lui che pochi ne ha veduti.
Poi corre via succhiato dalla nebbia del viottolo.
Rimango a misurare il poco detto,
il molto udito, mentre l’acqua della gora fruscia,
mentre ronzano fili alti nella nebbia sopra pali e antenne.
«Non potrai giudicare di questi anni vissuti a cuore duro,
mi dico, potranno altri in un tempo diverso.
Prega che la loro anima sia spoglia
e la loro pietà sia più perfetta.»
Presso il Bisenzio, in Nel magma, Garzanti, 1963
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